Essere ospite in terra straniera, spesso, spinge a fare delle considerazioni sulle proprie origini.
Essere una Italiana a Barcellona, quasi sempre, significa rivalutare la propria femminilità e la propria italianità.
Essere una Siciliana introspettiva e autocritica, con un legame viscerale con la propria terra, non lascia praticamente via di scampo al momento di riflessione.
Trasportata dalla mia nuova playlist su Spotify, stamattina ho cominciato a riflettere su tutto ciò di cui sento la mancanza da quando sono arrivata a Barcellona.
Ovviamente, come il 99,99% delle volte che decido di lasciarmi andare a certe disquisizioni mentali, anche oggi ho dovuto assistere al noioso duello tra il mio id, tendenzialmente ottimista e baccanale, e il mio superego, filo-depressivo, serioso e anche abbastanza rompipalle.
Ho raccolto tutte le mie energie positive e, in un tentativo negentropico per mantenere il mio equilibrio interiore, ho deciso di buttar giù la classifica delle 9 cose di cui sicuramente tutti i Siciliani fuori sede sentono la mancanza.
A un anno e mezzo dal mio arrivo a Barcellona, a un anno e qualche mese dai miei interrogativi di sempre, queste sono le 9 cose che più mi mancano della mia Sicilia bedda.
9. Esci la carne prima di scendere il cane
All’ultimo posto della classifica, si piazza la possibilità, o meglio, l’impossibilità di concedersi comunissime espressioni del tipo “Mi ‘ra camurria chi ssì!” o “Cu parrò m’arricriò”, oltre all’uso di verbi intransitivi con il complemento oggetto (chi avrà mai deciso che non si può?), senza essere guardati come alieni con 7 occhi e 4 dita per mano.
D’altronde, che volete farci? Chista è a zita…
8. Ci vediamo alle nove-e-mezza/undici-meno-un-quarto
L’8° posto della classifica se lo aggiudica la libertà spazio-temporale di noi Siciliani.
Forse non tutti sanno che il concetto della relatività che porta il nome di Einstein, in realtà, è un fattore genetico predominante in ogni Siciliano che si rispetti.
Se diciamo “Ci vediamo a Ballarò (uno dei mercati storici di Palermo, n.d.r.) alle 9:30/10:45”, nessun Siciliano penserà mai che stiamo parlando di orari antimeridiani. E, soprattutto, nessun Siciliano arriverà all’appuntamento prima delle 23:00. Ovunque esso sia.
Nonostante il suo ritardo, difficilmente riceverà un cazziatone.
7. Statti fermo, offro io!
Al 7° posto delle 9 cose di cui un Siciliano ha nostalgia quando non vive più in Sicilia, si posiziona quel gratificante momento in cui l’amico di sempre (o un perfetto sconosciuto!) decide di pagare per te, solo per il semplice fatto ricordarti quanto è contento di averti conosciuto.
Gesto che verrà immancabilmente ricambiato 37 secondi dopo.
6. Piacere, Giorgia. Saremo amici per sempre
In stretta connessione con la precedente posizione, al 6º posto mi prendo la libertà di mettere quella dote innata che abbiamo noi Siciliani di fare amicizia.
Non importa chi sei, da dove vieni, come parli: se mi stai simpatico, stasera vieni a mangiare a casa mia. E cucino io. O mia madre.
5. I pranzi di famiglia
I pranzi di famiglia siciliani si organizzano di domenica, perché altrimenti sarebbe necessario un intero giorno di ferie. E far coincidere il calendario lavorativo di 32 persone potrebbe essere difficile, nonostante la disoccupazione.
Detesto gli stereotipi, ma qui si tratta di cultura. E di antropologia sociale, come vi spiegherò più avanti. Motivo per cui, il pranzo di famiglia si classifica al 5º posto di questa top 9.
Quando tua madre ti dice “Domani andiamo a mangiare dalla zia” ti sta avvisando che dovrai alzarti presto, che dovrai prepararti a ingerire quintali di cibo e che non potrai organizzarti con gli amici quel giorno.
Quel che non ti dice è che quando deciderai di lasciare la Sicilia ti mancheranno le risate di pancia, gli aneddoti antiiichi, i momenti spensierati, l’aroma del caffè e i cannolicchi, dopo le interminabili partite a carte.
4. La Pasquetta, il 25 aprile, il 1 maggio e il Ferragosto: l’arrustuta
Sì, è vero che le feste popolari ci piacciono, ma se c’è qualcosa di cui sentiamo la mancanza noi Siciliani quando ce ne andiamo da casa è non avere né la scusa, né lo spazio per organizzare un’arrustuta.
Ed è inutile che tentino di rifilarci “barbacoas”, “asados”, “barbeque” e “grigliate”. L’arrustuta è l’arrustuta. Punto e basta.
3. Notti in spiaggia, chitarra e birra atturrunata
A un Siciliano non preoccupano i 40º all’ombra, né il periodo di chiusura estiva dei locali, quando le balle di fieno e le balate roventi dominano le loro città desolate. Se non c’è un posto dove andare, i Siciliani se lo inventano e il più delle volte è la spiaggia o un giardino comunale.
Sul podio, al 3º posto, classifico le canzoni strimpellate e reinventate, il cerchio di amici di sempre e qualche Forst ghiacciata in una qualunque notte d’estate. E anche d’inverno.
2. Ma’, mi fai la pasta con la salsa?
Da quando sono a Barcellona, c’è una cosa che mi riempe d’orgoglio ed è il valore socio-antropologico-culturale che noi Siciliani diamo al cibo.
Altro che food for thought, qui si tratta di food for life, nell’accezione più estesa che si può dare alla parola vita!
È per questo che quando il proprietario del Rey Loco ha scoperto che ero Palermitana come lui mi ha offerto un cannolo gigantesco. [Nessun doppio senso, grazie.]
In media, un Siciliano fuori sede riceve un pacco con viveri di prima necessità ogni due mesi. E quando parlo di “viveri di prima necessità” intendo caponata, estratto di pomodoro, pasta di acciughe e caciocavallo.
1. Casa dolce casa
Gli Spagnoli fanno una distinzione precisa tra “casa” e “hogar”. La stessa che gli Inglesi fanno tra “house” e “home”.
Mi ha stranito pensare che una cultura così impregnata di senso di appartenenza alla famiglia e alla terra, come quella siciliana, non avesse sviluppato questa differenziazione. Ma poi ho pensato che non si possono distinguere due concetti se uno dei due semplicemente non esiste.
Quando un Siciliano dice “casa” non fa mai riferimento all’edificio. Quando un Siciliano dice “casa” dice mamma, papà, fratello, amici, notti d’estate, mare, arrustuta, pranzi di famiglia e camurrie varie.
Quelle stesse camurrie che vorrebbe avere ogni giorno con sé. Soprattutto quando diventa un Siciliano fuori sede.